1. Il fulmine a
ciel sereno
La vita
scorreva nella normalità, fra alti e bassi. I rapporti fra coniugi, fra
fidanzati, fra genitori e figli, eccetera, seguivano i soliti ritmi e
l’andirivieni di sempre, con momenti di gioia, tran-tran, ovvietà e abitudini,
con i soliti fastidi psico-fisici, veri e presunti, con i cicli di stress e di
tranquillo recupero, con le speranze e i timori della vita.
Poi, un
giorno, un nostro caro ritorna dal medico col viso mesto, più del solito. Lì per
lì, pensiamo che si tratti dei suoi soliti disturbi periodici, di cui si
lamentava da tempo e con cui cercava maggiore attenzione e considerazione.
Questa volta non era così: un male grave e oscuro quanto il nome
complicato, che porta. È come se cadesse un fulmine a ciel sereno.
Improvvisamente è come se il treno deragliasse, o la macchina forasse insieme
tutte e quattro le gomme e uscissimo fuori strada. L’esistenza finisce a gambe
all’aria. È come un’ondata di gelo polare in piena estate. Dapprima c’è
l’incredulità e lo stupore. Subito dopo ci chiediamo cose del genere:
È grave? Quanto è grave? È guaribile? Ce la farà? Sennò, quanto tempo resta da
vivere? Che dice il medico? E se si è sbagliato? Dovremmo consultare un altro
specialista, per andare sul sicuro?
2. Uno scenario
che muta
All’improvviso
l’orizzonte si restringe. Tutta la vita diventa come un carosello, che
gira tutto intorno al perno di tale malattia. Tutto il resto si scolorisce e
diventa contorno. Le cose più eclatanti, che succedono nel nostro Paese e nel
mondo, non ci scuotono più come dovrebbero: le cose piacevoli stridono col
nostro lutto; le cose drammatiche acuiscono ancor più il nostro dolore. Per il
resto, è come se l’intero universo sia distratto e indifferente al nostro dramma
familiare.
Comincia la
trafila degli specialisti, delle analisi, degli ospedali, delle cure
prospettate. Cerchiamo di leggere fra le righe qualche barlume di speranza. Ci
sembra di entrare in un labirinto.
È come se tutti ci abbandonassero ora, che è
arrivato questo gran male. Noi stessi vorremmo svegliarci dall’incubo e
scoprire che è stato tutto un sogno. Oppure, vorremmo scappare da tale
situazione e andarci a nascondere alla fine del mondo.
3. Interrogativi
e problematiche
Comincia la
macabra danza degli interrogativi, in un continuo andirivieni. Che sarà
del mio caro? Che sarà di me? Ce la faremo a rimanere uniti su tale «via
dolorosa» o tale gran male minerà anche i nostri rapporti? Andrà tutto a buon
fine? Dovremmo sperare o disperare? Devo tacere o parlare, dispormi solo
all’ascolto o anche incoraggiare? Ce la farò a sostenere tale carico? Come andrà
a finire? Chi ci darà speranza?
Il momento di
una grave malattia può diventare un toccasana: la patologia può, infatti,
rimpicciolire tutti gli altri problemi esistenziali, interpersonali, familiari,
di coppia, aiutandoli a risolvere. Oppure essa può diventare una bomba
che devasta: li può amplificare a dismisura, cosicché tutto crolla. Può
succedere, quindi, che la malattia unisca maggiormente, oppure che divida
ulteriormente.
Non di rado, i
malati vengono lasciati a se stessi da fidanzati, coniugi, figli, amici e
quant’altri, perché la malattia li imbarazza, li affligge, li stressa o li
schifa. Essi, abbandonando il fidanzato, il coniuge o l’amico a sé stesso,
affermano di essersi aspettati ben altro dalla vita. Puntualizzano che la
malattia dell’altro è un impedimento alla propria felicità e non vogliono
passare i prossimi mesi o anni nelle sale d’aspetto degli ospedali o al
capezzale di un moribondo. Perciò, visto che la vita è breve, tali narcisisti
preferiscono abbandonare l’altro a se stesso e dedicarsi alla propria
autorealizzazione.
4. Alcuni casi
biblici
Scorrendo nella mente i
fatti biblici, ho dovuto pensare alle seguenti tipologie e connessioni
familiari, in cui qualcuno si è gravemente ammalato.
■ Si parla
dell’angoscia di una madre (1 Re 17,17 vedova di
Sarepta) o un padre (2 Sm 12,15ss Davide) dinanzi alla grave malattia di
un figlio.
■ Si parla
della grave patologia di un caro amico (Gv 11,4ss; Gesù e Lazzaro).
■ Si parla
della sterilità della moglie, che per una donna è molto grave (Gn 15,21
Isacco e Rebecca; 1 Sm 1,7ss Elkana e Anna).
■ Si parla
della reazione smodata di una moglie dinanzi alla malattia del marito: «Ancora
stai saldo nella tua integrità? Ma lascia stare Dio, e muori» (Gb 2,8s).
■ Si parla
della reazione compassionevole di Gesù dinanzi alle malattie della
gente del suo tempo (Mt 4,23; 9,35s; 15,30), ma anche a tanti singoli
casi, che lo commossero (Lc 7,9s il servo di un centurione; Lc 8,47s donna
col flusso di sangue; Lc 8,49s figlia morta; Lc
13,16ss.16 donna tutta curvata; Lc 17,11-19 un lebbroso riconoscente; Lc 18,41ss
cieco di Gerico).
■ Si parla
anche della reazione solidale dei credenti verso un servitore del
Signore. Paolo narrò ai Galati: «Voi non mi faceste
torto alcuno; anzi sapete bene che fu a motivo di una malattia che vi
evangelizzai la prima volta; e quella mia infermità, che era per voi una
prova, voi non la disprezzaste né vi fece ribrezzo; al contrario mi
accoglieste come un inviato di Dio, come Cristo Gesù stesso»
(Gal 4,13s).
■ Si parla
della premura di un servitore di Dio per i suoi colleghi e
collaboratori. «Epafròdito, mio fratello, mio collaboratore e
commilitone... è stato infermo, e ben vicino alla morte; ma Dio ha avuto
pietà di lui; e non soltanto di lui, ma anche di me, perché io non avessi
tristezza sopra tristezza» (Fil 2,25ss). A Timoteo scrisse: «Non
continuare a bere acqua soltanto, ma prendi un poco di vino a motivo del tuo
stomaco e delle tue frequenti infermità» (1
Tm 5,23).
Per alcuni
approfondimenti rimandiamo al tema
«Il
mio coniuge è morto. E ora?».
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URL:
http://diakrisis.altervista.org/_Prob/A1-Grave_malato_Esc.htm
17-05-2013; Aggiornamento: |