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DOBBIAMO SUSCITARE NEGLI ALTRI LA FAME PER L’EVANGELO?

 

 a cura di Nicola Martella

 

Luce che attraeA tale domanda si può rispondere in modi diversi (sì, no, sì e no, ecc.), a seconda di ciò che intendiamo dire e da quale punto di vista. Qui di seguito mi limito a una questione specifica, a cui invito alla discussione.

 

1. La questione

     Un amico cristiano ha riportato la seguente citazione, presa da uno dei libri di Watchman Nee: «Amici miei, non possiamo produrre negli altri la sensazione di Dio, non possiamo trasmettere il senso della presenza di Dio, se ogni cosa non è stata rotta, anche ciò che è più prezioso, ai piedi del Signore Gesù. Il Signore non ci vuole qui tanto per predicare o per fare qualche altro lavoro per Lui, ma per creare negli altri la fame. Nessuna opera autentica potrà iniziare senza un sentimento di bisogno. Non possiamo iniettarlo nella gente, non possiamo condurre la gente ad avere fame di Dio. Una fame del genere può essere creata solo da quelli, che trasmettono un’impressione vitale di Lui» (grassetto nostro).

 

2. Spunti per la discussione

     È certamente un discorso interessante, ma un po’ contorto e contraddittorio, specialmente perché ci manca il contesto, l’obiettivo e le cose che Watchman (= Guardiano) Nee intendeva allora contrastare. Egli scrisse: «Il Signore ci vuole... per creare negli altri la fame [...] non possiamo condurre la gente ad avere fame di Dio... può essere creata...». Watchman Nee avrebbe dovuto decidersi (o spiegarsi) meglio; avrebbe dovuto anche confidare di più nell’opera dello Spirito Santo e non pensare ai credenti come dei «crea fame» o «crea bisogni». Questo lo fanno le agenzie di marketing con le loro strategie di mercato e le agenzie pubblicità con i loro spot suggestivi.

     Egli afferma, inoltre: «Il Signore non ci vuole qui tanto per predicare o per fare qualche altro lavoro per Lui». Anche ciò è discutibile. Si tenga presente, ad esempio, quanto segue:

     ■ Gesù scelse i dodici per tenerli con sé e per mandarli a predicare (Mc 3,15).

     ■ Paolo evidenziò la necessità di mandare operai a predicare, perché la gente ascolti l’Evangelo e accetti la salvezza (Rm 10,14).

     ■ Paolo parlò di «questo fratello, la cui lode nella predicazione dell’Evangelo è sparsa per tutte le chiese» (2 Cor 8,18).

     ■ L’apostolo parlò anche del suo mandato a proposito della «predicazione, che è stata a me affidata per mandato di Dio, nostro Salvatore» (Tt 1,3).

 

Il credente fedele non ha il dovere di suscitare fame negli altri, ma di adempiere il ministero, che il Signore gli ha affidato (2 Cor 5,18 riconciliazione; cfr. Gv 17,4 Gesù) e di essere trovato un servitore e amministratore fedele (1 Cor 4,1s), poiché è per tale opera che sarà giudicato. A ciò s’aggiunga la seguente raccomandazione: «Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo» (2 Tm 4,2). Se qualcuno è moribondo, bisogna non solo invogliarlo a mangiare, ma costringerlo a farlo, anche quando non ha fame e desiderio, poiché ne va della sua vita!

     Non è sbagliato cercare stili di vita (personali e comunitari) e metodi per rendere appetibile ciò, che facciamo. Tuttavia, di credenti che debbano creare tale «fame» negli altri, sinceramente, non ho trovato traccia nel NT. Il Signore ci ha mandato a predicare l’Evangelo (essere luce e sale), non a creare il bisogno di salvezza (fame); al riguardo ci pensa lo Spirito Santo, quando tocca i cuori. Quando è buio e la luce è accesa, i moscerini vanno da soli verso la fonte luminosa. Se non ci vanno, è perché le lanterne sono spente o coperte. Allora neppure le strategie di marketing e pubblicità cristiani per suscitare fame e desiderio serviranno.

 

3. Aspetti conclusivi

     Ciò che ho trovato nel NT è la disponibilità a calarsi nella cultura e nella mentalità altrui (certo senza contaminarsi e peccare) per prendere le persone là, dove si trovano, e spiegare loro l’Evangelo all’interno di tali contenitori culturali e come essi al meglio possono comprenderlo. «Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero; con i Giudei, mi sono fatto giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno che è sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge. Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi sono fatto ogni cosa a tutti, per salvarne a ogni modo alcuni. faccio tutto per l’Evangelo, al fine di esserne partecipe insieme ad altri» (1 Cor 9,19-23).

     Tutto ciò che ho scritto rappresenta soltanto un aspetto rilevante della questione. Mi fermo qui, per dare l’occasione ad altri per completare il quadro. Parlandone insieme, le questioni si sedimentano e la questione risulta più chiara.

 

Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

1. Emiliano Musso

2. Antonio Capasso

3. Nicola Carlisi

4. Maurizio Marino

5.

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7.

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9.

10.

11.

12. Autori vari

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Emiliano Musso}

 

Contributo: Sicuramente questo articolo fa riflettere sui modi in cui — come credenti — ci approcciamo all’altro: troppo spesso, impegnati a cercare di fare le veci dello Spirito Santo, ci si dimentica di essere chiamati a riflettere la luce, che viene da Cristo (e di conseguenza, a viverla), e non a svolgere un lavoro, che va ben oltre le nostre capacità e possibilità (la convinzione di peccato prima, e la conversione poi, non sono certo alla portata del messaggero, ma appannaggio di Dio). Grazie, Nicola, per questi utili spunti. {07-04-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Giustamente lo Spirito Santo è Egli stesso il «sovvenitore» (parakletos). Egli necessita di cartelli indicatori verso la soluzione, ma la convinzione di dover accettare quest’ultima (quindi, il bisogno o la «fame»), la suscita soltanto Lui. I cristiani coerenti e ubbidienti possono essere tali segnali stradali sulla via della salvezza.

 

 

2. {Antonio Capasso}

 

Contributo: Ho letto diversi libri di Watchman Nee. Alcuni molto belli (es. «Non più io ma Cristo»), altri poco belli o addirittura pessimi (p.es. «Autorità spirituale»). Qualcuno ha detto addirittura che fosse «modalista». Riguardo alla citazione di Nee, penso che l’autore si riferisca al fatto che i credenti possono creare, con la loro vita e la loro testimonianza, fame di Dio negli altri. Non con strategie di marketing, quindi, ma con una predicazione dell’Evangelo fatta con potenza e coerenza, Dio attraverso di noi (siamo luce del mondo) può attirare (creare la fame) alla grazia sua. {07-04-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Per quanto ho capito, nel NT Gesù disse ai suoi discepoli: «Date loro voi da mangiare!» (Mt 14,16), ma mai «Suscitate in loro la fame». Per il resto, certo, se viviamo con coerenza la vita cristiana, essa può diventare desiderabile per alcuni, che ci guardano, per altri no. Perciò, lo stile di vita e di fede del cristiano è primariamente l’effetto di una devozione personale verso il Signore, non una strategia missionaria; la testimonianza è, per così dire, un effetto collaterale.

 

 

3. {Nicola Carlisi}

 

Contributo: Come giustamente tu hai citato, Iddio da noi richiede solo fedeltà nel restare e predicare la sua Parola in tutta la sua integrità (1 Cor 4,2) Gesù disse: «Nessuno può venire a me, se non che il Padre, che mi ha mandato, la tragga» (Gv 6,44). Gesù è il «Pane della vita», ma se non è lo Spirito Santo a creare o stimolare nella persona la fame, e cioè il bisogno della salvezza, nessuno va a Gesù. Tanti, che seguitavano Gesù, non credevano; e Gesù li conosceva fin dal principio, compreso Giuda. E Gesù disse loro: «Perciò vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre mio» ( Ev. Giov. 6,65). Tanti non hanno compreso che con i nostri sforzi possiamo creare solo proseliti; ma il salvare appartiene al Signore (Sal 3,8; Dan 3,29; Matt19,25-26). {07-04-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Tale contributo mi dà l’occasione per alcuni approfondimenti sul tema.

     ■ Eletti ma perduti: Vorrei dire qualche parola di chiarezza su Giovanni 6,44.65, visto che tali versi sono strumentalizzati dalla ideologia iper-calvinista. In tale capitolo Gesù sfatò l’illusione dei Giudei del suo tempo di essere a posto, essendo parte del popolo del patto e avendo, perciò, la salvezza, senza necessitare che Egli fosse il Messia promesso. Tali Giudei erano eletti (secondo la promessa), ma perduti senza Cristo (cfr. Gv 8,24). Non solo i proseliti avevano bisogno di un’opera dall’Alto, ma gli stessi Giudei (Gv 3,3-8). La loro appartenenza razziale era un vantaggio quanto a essere destinatari delle promesse divine, ma era altresì un impedimento alla salvezza (Gv 1,11ss), ritenendo essi che bastasse essere figli di Abramo (Gv 8,39ss).

     Chi si sente sazio, come tali Giudei, non crede di aver bisogno di mangiare, per poter vivere; l’anoressia spirituale porta alla morte eterna. Nel prossimo punto vedremo come Gesù cercò di adoperare una terapia shock per provocare la fame in chi era già spiritualmente deperito, ma nonostante ciò si sentiva sano e in salute.

 

     ■ Fame spirituale di Gesù: Per restare al tema, in Giovanni 6 Gesù provocò i Giudei del suo tempo ad avere veramente fame di Lui (in quanto persona, non in un presunto significato sacramentale). Perciò, presentandosi loro come il Messia promesso, disse loro: «Il Padre mio vi dà il vero pane, che viene dal cielo... Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame, e chi crede in me non avrà mai sete. [...] Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo. In verità, in verità io vi dico che, se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui. Come il vivente Padre mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre, così chi mi mangia, vivrà anch’egli a motivo di me» (Gv 6,32-35.41.47-57). Sì, Gesù sapeva come provocare la fame in coloro, che vedevano in Lui il Messia; coloro, che lo consideravano solo come figlio di Giuseppe e di Maria (v. 42), si scandalizzarono (vv. 60s). Tale parlare duro e provocatorio aveva il senso di trovare seguaci, che avessero veramente fame di Lui e facessero sul serio con Lui. Infatti, Gesù non invitava a un cannibalismo (neppure sacramentale), poiché spiegò ai suoi discepoli: «È lo Spirito, quello che vivifica; la carne non giova nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita» (v. 63).

 

 

4. {Maurizio Marino}

 

Contributo: La fame è uno stimolo naturale, per avvertirci di un nostro bisogno. Quando si ha fame, si cerca l’obiettivo giusto: mangiare per saziarsi.

     In campo spirituale l’Evangelo è la buona notizia, che può saziare la fame. Infatti, ogni uomo ha fame di Dio, anche se non se ne rende conto ma cerca di saziarsi nel modo sbagliato, che non può saziarlo.

     Allora, il nostro compito è propedeutico, nel senso che dobbiamo aiutare a scoprire la fame del Signore e come saziarla.

     Chiaramente sarà lo Spirito Santo a «convincere» che l’Evangelo è il cibo giusto. {08-04-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): La fame è uno stimolo naturale, insito nell’uomo. Tranne che per i casi di patologia, non bisogna suscitarla. Ci sono vari tipi di fame, ad esempio, fame da cibo, fame da appagamento (psichico, sensuale, ecc.), fame di successo, fame di sapere, fame di Dio. Il problema è che certi tipi di persone si adattano col tempo a un «mangiare» insano: ai surrogati (ideologici, religiosi, ecc.), ai cibi pronti della cultura pieni di additivi e conservanti (edonismo, narcisismo, rivalità, compromessi, materialismo, ecc.), al fast-food (tutto e subito, prendi ciò che puoi, ama te stesso, ecc.) e così via.

     Il compito dei cristiani biblici non è tanto quello di suscitare la fame, ma di assecondarla per dirigerla sul cibo genuino: ciò che è verace, morale, scritturale e spirituale. Bisogna comunicare che la fame vera della vita, è quella di verità, la fame di Dio, che solo Lui può appagare.

 

 

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12. {Autori vari}

 

Luisa Lauretta: Sono d’accordo Nicola, con quello che scrivi. La fame spirituale cresce con la comunione personale con il nostro Signore, giorno dopo giorno. Dio ti benedica fratello. {07-04-2012}

 

URL: http://diakrisis.altervista.org/_Dot/T1-Suscita_fame_Evang_EdF.htm

07-04-2012; Aggiornamento: 09-04-2012

 

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