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Riflessioni fra cielo e terra: Aneddoti evangelici e non, e l’umorismo nella Bibbia. Ecco le rubriche principali:

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Col senno del poi.

 

È «psicoterapia biblica» in forma di umorismo.

 

Vedi al riguardo le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LOGORREA DEVOZIONALE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Avviso: Si prega i membri dell’assemblea di disintossicarsi a tempo dalla perniciosa patologia ecclesiale chiamata «logorrea devozionale» e d’istallare nella propria prassi di preghiera un appropriato antivirus contro ogni blaterare! Attenzione al pericolo di contagio reciproco per imitazione e consuetudine!

 

L’immagine ritrae il fariseo, che nella similitudine di Gesù si vanta dinanzi a Dio per i suoi pregi morali e devozionali (Luca 18,11s). Oltre a quanto ho scritto sull’immagine, qui di seguito riporto alcuni aneddoti, che mi sono rimasti impressi nella memoria.

     Chi non conosce le preghiere lunghe e interminabili di alcuni credenti, che, come sembra, dicono a Dio tutto ciò che sanno o che vorrebbero finalmente dirgli, quasi per timore che magari non avranno un’altra occasione per parlare con Dio o non lo vedranno mai più? Ogni volta sembra

 

Logorrea devozionale

essere tale ultima volta. Chiaramente, così facendo, non può esserci l’ombra di un «pari consentimento», visto che siffatti credenti dalla facile logorrea occupano in genere metà dell’incontro di chiesa. Fra terra e cielo si fa strada un’incerta atmosfera pregna di noia e di narcosi ecclesiale. Alla fine di siffatta «lungaggine» oratoria, «l’amen» non è, in genere, di approvazione, ma di liberazione.

 

     ■ Ricordo una volta, decenni or sono, che ero ospite di una famiglia, che viveva in una zona di mare nel nord d’Italia. Nell’assemblea arrivò una donna credente, che si trovava lì per turismo. Ella pregò per circa mezz’ora. E nella sua preghiera ricapitolò pressoché tutta la sua biografia e una certa parte della dottrina, usando intonazioni differenti della voce, con un’inflessione ora triste, ora gioiosa. Alla fine, lei si era sfogata con la sua psicoterapia devozionale, noi tutti eravamo finiti sul tappeto per KO devozionale, interiormente chi sfibrato, chi contrariato e chi sonnolente.

 

     ■ Ricordo da ragazzo, quando capitavo in quella data comunità nel sud d’Italia, si alzava un certo credente, che con voce tonante cominciava la sua preghiera con un «Signoooore!» sonante come un cembalo e molto dilatato. Poi, seguiva la sua catechesi al Signore, che cominciava spesso con: «Tu sai quello che è accaduto [ad Adamo e a Eva]...». Il punto, in cui faceva iniziare e terminare la sua lunga carrellata della storia della salvezza, era variabile.

 

     ■ Mi è stato raccontato che nella stessa assemblea un credente confessò in preghiera con voce altisonante e plateale di essere «il più graaaande dei peccatori». Subito dopo, si alzò un altro credente, che con voce solenne pregò: «Signoooore, non ascoltare la sua preghiera, perché non ha parlato secondo verità! Infatti, il più graaaande dei peccatori sono proprio io!».

 

Per l’approfondimento biblico, rimando ai seguenti brani: Ecclesiaste 5,1s; Matteo 6,7; Luca 18,11s (cfr. anche Proverbi 10,19; Ecclesiaste 5,7; 6,11).

     Mi fermo qui. Forse anche tu conosci altri casi di «logorrea devozionale»; oppure hai una riflessione in merito.

 

Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori).

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Guerino De Masi: C’è da torcersi dal ridere, se non fosse così tragicamente reale. Spero che ognuno ne terrà conto, ogni volta che pregherà in comunità. {31-07-2015}

 

Adriano Carmelo Bartolomeo: Conosco due credenti, che verso la fine del culto, commentavano in preghiera la riunione, specialmente se era un altro, che portava il messaggio, e raccontavano tutta la Bibbia. Non so se era una preghiera al Signore o un sermone. Ma il mio «amen» era un sospiro di liberazione. Purtroppo domenica sono da loro. {31-07-2015}

 

Nicola Martella: Grazie! Ti penseremo domenica e saremo solidali con te, pensando al «martirio», che dovrai subire! La cosa pratica è che, qualora uno non abbia capito il sermone dal pulpito, nel caso in cui non sia già troppo stremato, capirà il sermone bis in preghiera. Perché fare le cose semplici, quando si possono fare complicate?

 

Andrea Belli: Personalmente anch'io preferisco le preghiere brevi e concise. Talvolta esse possono diventare dei mini-sermoni piuttosto che preghiere o suppliche. Tuttavia siamo chiamati a concentrarci e ad ascoltare la preghiera del fratello o della sorella, in quanto il nostro «amen» implica anche la nostra responsabilità di condivisione. Se dobbiamo dire «amen» solo per liberarci di un peso, non credo che sia giusto, visto il profondo significato che tale termine ha. {31-07-2015}

 

Nicola Martella: Non dimenticare che qui la vena è un po’ umoristica. Inoltre, non siamo obbligati a dire «amen!» a preghiere, che non condividiamo nel merito (veracità) o nel metodo (lungaggine dovuta a sunto storico, a predica bis o a contro-sermone rettificante).

 

Damaris Lerici: «Ora, nel pregare, non usate inutili ripetizioni come fanno i pagani, perché essi pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate» (Matteo 6,7s). Questo brano ci ricorda come dobbiamo pregare. {31-07-2015}

 

Guerino De Masi: Con tutta la serietà dovuta e nel rispetto degli interventi precedenti, caro Nicola, mi vien da ridere. J È talmente conosciuto e risaputo che questo genere di fratelli «oratori preganti» sono qualche volta oggetto di battutine un pochino sarcastiche. E chi non ne ha sentite?

     Io sapevo subito che un «tale» fratello stava per pregare, visto che si schiariva dapprima la gola con un sonoro «grrrrr»! E a voce impostata, iniziava la sua oratoria, pardon, preghiera, con cui stava lì appunto per correggere o completare la predica o preghiera precedente con tanto di citazioni, capitoli e versetti, ivi inclusa una esegesi tutta personale, quando addirittura non riteneva necessario aggiungere anche una qualche traduzione della parola greca o ebraica, di cui pareva esperto.

     No, decisamente no. Pregare il nostro Padre celeste non necessita capacità oratoria e voce impostata, ma un cuore sincero, che si apre al Signore sapendo d’essere nudo davanti a Colui, che tutto sa prima ancora che gli presentiamo le nostre richieste. Ben venga la semplicità infantile: «Papà aiutami. Papà non ce la faccio. Grazie, Papà». Non è questo «l’Abba», che Gesù il Signore suggerisce? {31-07-2015}

 

Adriano Carmelo Bartolomeo: Io preferisco dire «padre», invece che «papà»; è un mio sentimento di rispetto.

     Vi sono altri invece che giusto la domenica, nel pregare, chiedono perdono di ciò, che hanno fatto durante la settimana o chiedono perdono al Signore perché hanno mancato in qualcosa, quel qualcosa che magari ha offeso il fratello, ma non chiedono scusa al fratello. O pregano il Signore che i credenti siano più uniti, mentre lui si vede una volta il sabato e la domenica, perché è anziano del sabato e della domenica. È vero che abbiamo bisogno di parlare col Signore, ma tale parlare non è solo quando si ci raduna, ma tutti i giorni la nostra mente deve essere collegata in armonia col Signore, e tale armonia dev’essere anche con i fratelli. {31-07-2015}

 

Nicola Martella: Faccio notare, di là dai gusti personali, che è legittimo dire a Dio sia «padre» sia «papà». Gesù si rivolgeva a Dio, nei momenti più drammatici della sua vita, così: «Abbà, Padre!...» (Mc 14,36). Qui troviamo insieme il termine aramaico particolare ’abbà (aram. ’ab; ebr. āb) e quello greco patr insieme all’interno della devozione personale. Lo Spirito di adozione, che i rigenerati hanno ricevuto, permette loro, gli eredi, di rivolgersi a Dio, chiamandolo: «Abbà! Padre!» (Rm 8,15; Gal 4,6s). Il termine aramaico particolare ’abbà era usato affettuosamente in casa e corrisponde al nostro «papà, babbo».

 

Francesco Cicala: Riguardo al problema della lungaggine nella preghiera certamente ne ho sentite. In una assemblea durante il culto della domenica c’era spazio al massimo per tre o quattro fratelli, proprio per la lungaggine. Ma quello che mi fa più pena è la preghiera, con cui qualcuno, alla fine del messaggio biblico di un anziano, rettifica quello che ha ascoltato, facendo ciò secondo la sua veduta e non secondo dottrina, arrogandosi il diritto di esercizio del ministero di anziano. {31-07-2015}

 

Stefano D’alessandro: Il Signore non ama i lunghi salamelecchi, alla musulmana. Non cerchiamo parole rimbombanti, sofisticate, altisonanti, eloquenti, auliche; ma limitiamoci a parlargli con semplicità e schiettezza, e sia la nostra lode breve, libera dal superfluo, che ingombra, dilunga e affievolisce la spinta sincera, che va diritta al cuore del Padre. {31-07-2015}

 

Edoardo Piacentini: In realtà, siamo stati tutti vittime di qualche logorroico devozionale, il quale anziché accendere nei cuori degli ascoltanti la passione per Dio attraverso la sua preghiera, ha piuttosto spento lo spirito di devozione, che aleggiava nella comunità, prima che iniziasse a pregare.

     Eppure la preghiera ha un posto importante nella vita di Cristo e dei suoi discepoli, così come lo ha avuto anche nei credenti dell’Antico Testamento. In Luca 11,1 leggiamo che Gesù, dopo aver pregato in un certo luogo, un discepolo gli chiese: «Insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Poteva chiedere al Signore di diventare eloquente come Lui, che affascinava le folle, «perché Egli le ammaestrava, come uno che ha autorità e non come gli scribi» (Matteo 7,29), oppure di compiere segni, miracoli e prodigi, come faceva Lui, tant’è che tutti «stupivano e dicevano: Da dove ha ricevuto Costui questa sapienza e queste potenti operazioni?» (Matteo 13,54). Ma quel discepolo comprese che la forza, la potenza, l’autorità e la fede incrollabile, che Gesù manifestava continuamente, derivavano dalla preghiera che il Signore elevava al Padre con tutto il suo cuore. Per questo motivo egli chiese d’imparare a pregare, e negli Evangeli abbiamo tantissime istruzioni per elevare preghiere gradite a Dio, tra le quali c’è quella di non usare «troppe parole come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole» (Matteo 6,7). {31-07-2015}

 

Alessio Rando: Meno male che Gesù insegna a non fare i «parolai», quando si prega: «Nel pregare non usate troppe parole come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole» (Mt 6,7).

     Secondo me, il problema sta nel fatto che costoro non sanno realmente cosa dire in preghiera, allora «condiscono» il tutto con riferimenti alla loro conoscenza biblica e/o alla loro storia personale. Però non siamo noi che dobbiamo catechizzare Dio, dato che Egli sa già ciò, che ci è accaduto, e ciò che è scritto nella sua Parola.

     La preghiera dev’essere semplice, il Signore sa ciò di cui necessitiamo, non c’è bisogno di «annoiarlo» con riferimenti alla storia biblica.

     Ricordo una volta, che ero in una comunità pentecostale, che un fratello condì le sue preghiere con riferimenti a Davide. Lì per lì sono rimasto attonito, che bisogno c’era di riferirsi a Davide? Oltretutto, tale credente disse (più o meno): «Signore, tu sai che Davide...». Avrei voluto chiedergli: «Fratello, ma tu stesso hai detto che il Signore sa ciò, che è accaduto a Davide, perché hai voluto ricordarglielo?!».

     Mi capita anche di sentire preghiere che finiscono «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», un po’ alla cattolica. Magari accadrà che si faranno pure il segno della croce. Forse pensano che così le preghiere siano più «potenti». Beh, la preghiera non è una formula magica, che deve essere potente, ma è dialogo con Dio.

     Anche il pregare «nel nome di Gesù» non è solo porre il suo nome alla fine della preghiera (anche qui, non è una formula che potenzia le preghiere), ma significa pregare come egli pregò. {31-07-2015}

 

Nicola Martella: Terminare la preghiera «nel nome di Gesù», è un atto di umiltà verso Dio. In tal modo il credente ammette di non essere da se stesso degno di essere ascoltato dall’Onnipotente, ma che porta la sua lode, il suo ringraziamento o le sue suppliche a Dio mediante il Sommo Sacerdote Gesù, il Mediatore fra Dio e gli uomini (1 Tm 2,5).

     Gesù stesso invitò i suoi discepoli a chiedere cose al Padre «nel suo nome», ossia nella sua autorità, con la promessa che il Signore stesso lo avrebbe compiuto (Gv 14,13s) o il Padre lo avrebbe dato loro (Gv 15,16; 16,23s.26).

 

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Per l’approfondimento si leggano i seguenti temi:

Logorroici devozionali {Nicola Martella} (T)

Preghiere non ascoltate {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://diakrisis.altervista.org/_Disc/T1-Logorrea_dev_Mds.htm

31-07-2015; Aggiornamento:

 

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