«Vedo anche fra i credenti che,
quando vogliono esprimere il loro disappunto o la loro irritazione su qualcosa,
cominciano a “pepare” le loro espressioni in senso urogenitale. Il cambiamento
comincia con una mente rinnovata e coinvolge subito un linguaggio rinnovato. La
circoncisione del cuore si palesa in quella delle labbra. In ciò alcuni hanno
ancora molto da lavorare, poiché mettono il vin nuovo in otri vecchi» (Nicola
Martella;
fonte: Linguaggio nuovo). |
1. Entriamo in
tema
Mi
è saltato all’occhio (e alle orecchie) come alcuni credenti, che parlano con me
o con altri oppure che scrivono in rete, quando esprimono qualcosa con molta
enfasi o irritazione, condiscono le loro parole con la coprolalia (copro-
dal gr. «feci»), ossia il parlare turpe, fecale, osceno e dintorni. Ciò avviene
anche nella narrazione, che fanno di cose dette a terzi. Rimango sempre
meravigliato di quei credenti, che portano l’Evangelo agli altri e belle
meditazioni ai credenti, quando poi usano il turpiloquio e un linguaggio
scurrile e sgangherato, quando essi stessi escono dai gangheri e perdono
le staffe.
Eppure la
Scrittura afferma: «Nessuna cattiva parola
esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il
bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi l’ascolta»
(Ef 4,29). Di Diotrefe, che aveva arroccato a sé la conduzione
monocratica della chiesa locale, rifiutando di ricevere l’apostolo Giovanni e
quelli con lui, fu scritto: «Se vengo, io ricorderò le opere che fa,
blaterando contro di noi con cattive parole;
e non contento di questo, non solo non riceve egli stesso i fratelli, ma a
quelli che vorrebbero riceverli impedisce di farlo, e li caccia fuori della
chiesa» (3 Gv 1,9s). Come dev’essere incattivito
nel peccato un tale cuore!
Infatti, il linguaggio palesa ciò, che c’è
veramente nel cuore. Secondo Gesù, i frutti (anche delle labbra) mostrano
l’albero (Mt 7,17s). È dall’abbondanza del cuore che la bocca parla (Mt 12,34).
L’uomo dabbene e l’uomo malvagio sono così classificati da ciò, che tirano
fuori (v. 35). Infatti, le parole sono quelle, che giustificano o condannano
una persona (v. 37) dinanzi agli altri.
2.
Approfondimento
Anche Giacomo mise in chiaro quanto segue: «Se
uno pensa di essere devoto [a Dio] e non tiene a freno la sua lingua, ma
seduce il suo cuore, la devozione di quel tale è vana»
(Gcm 1,26). Egli insiste su tale tema, poiché molti cadono nella trappola della
lingua. Se non controllata, essa è paragonabile a «un piccolo fuoco
[che] può incendiare una grande foresta» (Gcm
3,5). Essa, lasciata a se stessa, viene infiammata dagli inferi, «contamina
tutto il corpo e infiamma il corso di vita» (v.
6). Egli prese tale immagine dai Proverbi, dove è scritto che sulle labbra
dell’empio «c’è come un fuoco divorante» Pr 16,27).
Dove ciò avviene, la lingua diventa «un male
senza posa... piena di mortifero veleno» (Gcm 3,8). Allora, con una
certa schizofrenia religiosa essa verrà usata per far fluire allo stesso
tempo benedizione e maledizione (vv. 9a), dolce e amaro o salato (vv. 11s). E
magari le persone neppure se ne accorgono, spiritualizzando arbitrariamente il
loro turpiloquio.
Già Davide chiedeva a Dio: «O Eterno,
poni una guardia dinanzi alla mia bocca, guarda l’uscio delle mie labbra»
(Sal 141,3). E la sapienza consigliava: «Rimuovi da te la
perversità della bocca, e allontana da te la falsità delle labbra»
(Pr 4,24). Infatti, «lo stolto di labbra va in precipizio»
(Pr 10,8.10; cfr. 18,7; Ec 10,12) e «la bocca degli empi è piena di
perversità» (Pr 10,32). Il perverso di labbra è anche stolto (Pr
19,1). Quando nella bocca è inserito il «pilota automatico», si dicono molte
cose insensate; perciò, è bene tirare il freno a mano a tempo, poiché «nel
peccato delle labbra sta un’insidia funesta» (Pr
12,13). «Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi
frena le sue labbra è prudente» (Pr 10,19).
Chi non custodisce la sua bocca, va incontro alla rovina (Pr 13,3).
3. Aspetti
conclusivi
Il
turpiloquio continuo è da ascriversi alla mancanza di educazione ed è una
forma di vizio o dipendenza comportamentale. Il turpiloquio occasionale,
in momenti di particolare concitazione psichica, rappresenta il rigurgito della
«carne», il ritorno di fiamma del «vecchio uomo», a cui si dà il sopravvento.
Peggio ancora è quando il clima di una comunità viene così intorbidito, da
accettare come normale un certo linguaggio pepato.
È triste incontrare persone,
che fanno discorsi religiosi, ma quando si dissente da loro, cominciano a usare
il turpiloquio; alcuni
addirittura minacciano di farti del male fisico
(cfr. Pr 24,2). In tal modo, essi palesano che cosa hanno
veramente nel cuore e, quindi, che cosa sono.
Chi vuole piacere al Signore e servirlo
opportunamente, deve assolutamente purificare il suo linguaggio. Egli
deve esercitarsi a dire e ad argomentare le cose, senza usare il turpiloquio ed
esercitandosi a sostituire le male parole con concetti decorosi e facendo leva
sul convincimento probatorio. Anche nel linguaggio bisogna esercitarsi a
svestire il «vecchio uomo» (vecchia natura, vecchio stile di vita) e a
rivestire «l’uomo nuovo» (Ef 4,22); ciò avviene rinnovandosi
nell’atteggiamento della mente (v. 23) e nell’esercizio della giustizia e
della santità, che sono l’efflusso dalla verità (v. 24).
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?
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I contributi sul tema
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1. {Sonia Salza}
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■
Contributo: Caro fratello Nicola, ancora
una volta grazie per il tuo articolo. Pensa che da tempo volevo chiederti
consiglio proprio su questo argomento. Mi turba leggere, specialmente su
Facebook, dei commenti di un fratello che conosco bene e ora dirige una
grande chiesa al nord (non vorrei rendere pubblico il suo nome), che usa
spesso parole volgari. Quando era con noi, diceva qualche parolaccia,
ma siccome io sono forse troppo severa su queste cose e non uso un linguaggio
«moderno», e sembrava che a nessun altro la cosa desse fastidio, non mi sono mai
permessa di dirgli che non è bello né etico usare certe parole. Oggi sembra
normale un certo linguaggio nel mondo, ma io credo che un credente, si debba
distinguere anche in questo dagli altri: «...né oscenità, né parole sciocche
o volgari, che sono cose sconvenienti» (Ef 5,4). Come dire a questo
fratello che non sta bene usare questo linguaggio, senza che si offenda? Dio ti
benedica grandemente per l’opera, che volgi. {20-01-2013}
▬
Nicola Martella: Sulla tua analisi non posso darti che ragione. Non conoscendo tale credente con
tale vizio o dipendenza relativo al turpiloquio, è difficile dire qualcosa di
specifico; mi limito perciò a un’analisi biblica. Se per un credente è
sconveniente usare «parole sciocche o volgari» (Ef 5,4), per un
conduttore esse sono impensabili, dovendo essere egli irreprensibile,
ossia al di sopra di ogni riprensione. Ai credenti è comandato un «parlare
sano», figuriamoci ai conduttori! Infatti, a Tito, che guidava altri, Paolo
ingiunse di dare se stesso «in ogni cosa come
esempio di opere buone; mostrando nell’insegnamento incorruttibilità,
dignità, parlare sano, irreprensibile,
perché l’avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire di noi»
(Tt 2,7s).
Le
dottrine di Cristo sono chiamate «parole sane» (1 Tm 6,3); ciò è inteso
sia come parole
sanate, quindi esenti dal male (aspetto passivo), ma anche come parole che
sanano (aspetto attivo). Le parole di un conduttore devono essere esenti
dall’iniquità e risanare chi ascolta. Per questo Paolo ingiunse a Timoteo: «Attenti
con fede e con l’amore, che è in Cristo Gesù, al modello delle sane parole,
che udisti da me»
(2 Tm 1,13).
2. {Davide Campo}
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Per me sentire «parolacce» uscire dalla
bocca di un credente, è triste e anche doloroso come una spada, che mi
trafigge il corpo. Mi tornano sempre in mente i versi di Giacomo 3,9-12: «Con
essa benediciamo il Signore e Padre; e con essa malediciamo gli uomini che sono
fatti a somiglianza di Dio. Dalla medesima bocca escono benedizioni e
maledizioni. Fratelli miei, non dev’essere così. La sorgente getta forse
dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può forse, fratelli miei, un fico
produrre olive, o una vite fichi? Neppure una sorgente salata può dare acqua
dolce». Come si fa ad adorare e lodare Dio la domenica mattina con
preghiere e canti e, con la stessa bocca, pronunciare delle imprecazioni
fuori della chiesa, magari solo perché una macchina ci supera a destra nel
traffico? O ancor di più condividere dell’ironia oscena su FB? Magari sono
troppo esagerato? Che il Signore ci aiuti a controllare il nostro
linguaggio (me per primo), ma soprattutto a rinnovare le nostre menti.
{20-01-2013}
3. {Edoardo Piacentini}
▲
Il turpiloquio
è l’uso di parole cattive, di parolacce, che possono turbare la pace fra
gli uomini e che, comunque, offendono il pudore e i buoni costumi ed
eccitano al male. Il turpiloquio, fino a qualche tempo fa, era esclusivo
appannaggio della «società maschile» e si riteneva di pessimo gusto dire
«certe parole» in presenza delle «signore». Ma negli ultimi decenni, le
parolacce sono entrate nel linguaggio parlato un po’ a tutti i livelli, non solo
fra i giovani, non solo fra uomini e donne, ma per colorire discorsi o
espressioni particolari. Anche per radio, per televisione o sui
giornali non è raro trovare parole, che fino a qualche anno fa si ritenevano
impronunciabili.
Tre sono i
tipi di «espressioni volgari» usate: la bestemmia, la parolaccia e
l’imprecazione. La bestemmia, un’offesa contro Dio, è sentita come
un’espressione estremamente pesante e volgare: di rado viene scritta, quasi mai
pronunciata per televisione, e poco anche nel cinema. La parolaccia vera
e propria ha, invece, il significato di un insulto contro una persona.
L’imprecazione, ovvero la parolaccia usata solo per esprimere il proprio
disappunto, o anche impiegata come intercalare, senza voler offendere nessuno e
senza più nessun vero significato letterale, se non quello di esprimere rabbia,
sorpresa, gioia, dolore e comunque un’emozione forte.
Il nostro parlare, secondo l’apostolo
Paolo, proprio perché siamo separati dal mondo, vale a dire dal vano modo di
vivere proprio di questa società irriverente e irrispettosa nei confronti di
Dio, non deve assolutamente fare uso del turpiloquio; anzi il nostro parlare
deve mirare a edificare, vale a dire a far crescere, a consolidare
moralmente gli uomini, nel senso del bene. {20-01-2013}
4. {Pietro Calenzo}
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Condivido
pienamente la tua analisi, carissimo Nicola. La lingua un piccolo organo,
che può infiammare tutto il corpo. Nella mia vita di credente, una sola volta
ho sentito un fratello, esprimersi con un singolo termine piuttosto colorito, ma
era in un contesto molto più ampio, per rimarcare una situazione oggettiva e
imbarazzante. Fui sorpreso, comunque non positivamente. Chiarito che il
cristiano deve esprimersi sempre senza ipocrisia, ma altresì con mitezza,
amore e in verità, ciò avviene spontaneamente nei credenti autentici, sottomessi
alla guida dello Spirito Santo.
Sull’argomento
mia madre affermava: «La lingua non ha osso, ma rompe l’osso». Ad ogni buon
conto, si deve rimarcare che, comunque, la lingua non è altro che la
longa manus, «l’attrice» della nostra mente. Se catturiamo ogni nostro
pensiero in Cristo, il nostro parlare sarà sempre attento e condito con il
sale della Parola di Dio. Penso che, mancando su Facebook, in molti
casi, una conoscenza diretta o un confronto vis a vis, a volte qualche
credente possa lasciarsi andare a un linguaggio villico, il che non è mai
giustificabile, ma in qualche modo più inquadrabile con personaggi, che spesso
si celano con avatar anonimi, e con identità non anagrafiche.
Tanti anni
addietro, un anziano di un’assemblea pontina raccomandava a noi giovani
credenti: «Se dovete affermare qualcosa, che potrebbe generare qualche problema
a terze persone, fermatevi, pensateci sopra tre giorni; poi, se sentite
ancora di dover parlare, ditelo, ma tenendo in considerazione quanto vi ha
perdonato Gesù». {20-01-2013}
5. {Tommaso Failla}
▲
■
Contributo: All’amico e fratello in
Cristo, Nicola, vorrei dire che molto probabilmente più che vino nuovo in otri
vecchi, è il trasformismo satanico che si mette in evidenza attraverso
questo genere di persone doppie. L’Apostolo Paolo, scrivendo ai Corinzi, dice: «Quei
tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si travestono da
apostoli di Cristo. Non c’è da meravigliarsene, perché anche Satana si traveste
da angelo di luce. Non è dunque cosa eccezionale se anche i suoi servitori si
travestono da servitori di giustizia; la loro fine sarà secondo le loro
opere» (2 Cor 11,13ss). Ciò mi ricorda come troppi falsi profeti e falsi
apostoli, estraendo alcuni testi biblici dal loro contesto, li usano per
far dire alla Bibbia e, quindi, a Dio ciò, che va bene per loro. Il sostegno
delle nostre parole, però, sono il nostro dovere e il nostro modo di
comportarci. {20-01-2013}
▬
Nicola Martella: Mi riesce difficile capire
come tale discorso si innesti nel tema, che stiamo affrontando; esso è qui del
tutto fuori tema. Bisogna distinguere i falsi apostoli e operai
fraudolenti dalle persone, di cui parliamo; infatti, i primi possono avere un
linguaggio lindo, ma dottrine esoteriche cristianizzate. Coloro, che invece
«pepano» i loro discorsi con qualche parola «forte», possono essere il prodotto
di un discepolato carente, frettoloso e sbagliato; quest’ultimo può
riguardare temi dottrinali, ma non quelli etici. Prima di portare al battesimo i
nuovi convertiti, io li assoggetto a un discepolato continuo che, come
nel caso attuale, durerà ben 5 mesi a cadenza quindicinale e in cui io affronto
pressoché tutti gli aspetti della dottrina e dell’etica. Un certo turpiloquio
più o meno forte (o blando) in certe comunità è il risultato del «clima
ecclesiale», che hanno creato i conduttori con il loro atteggiamento e
insegnamento tollerante. A ciò si aggiunga una certa schizofrenia
misticheggiante, che distingue gli aspetti pubblici (ecclesiali) da quelli
privati; perciò si possono assistere a certe preghiere «ispirate» in sala e a un
certo linguaggio «grasso» nella vita profana. La colpa è dei conduttori,
della loro catechesi, del loro insegnamento; essi non hanno spesso coraggio e
vigore di affrontare temi pratici come la sessualità, il linguaggio, l’etica
cristiana, il lavoro nero, la dipendenza (da sostanze, cibi, comportamenti), e
così via, ma si limitano a temi dottrinali. Così producono cristiani sì
rigenerati, ma deboli, con la testa piena di soteriologia, ma con la pratica
morale deficitaria. Poi, alcuni di loro, lungi dall’essere irreprensibili,
diventano i prossimi conduttori...
6. {Gaetano Nunnari}
▲
Purtroppo è vero. Non è cosa rara sentire tali
cose da persone, da cui non te le aspetti. La cosa, che mi rende perplesso, è
come spesso tali parole vengano dette in maniera così disinvolta e non
magari in un momento d’ira, dove si perde il controllo (che in ogni modo non
giustifica ugualmente il vocabolo). Purtroppo questa è la realtà. Un mio caro
amico e fratello in Cristo, mi raccontò che quando abbandonò i T.d.G. e
iniziò a frequentare una comunità «evangelica», si scandalizzò perché dopo il
culto sentiva fratelli e «anziani» nominare nei loro discorsi vocaboli, che si
riferivano a materiale fecale. Tale fatto era del tutto assente fra i T.d.G.
Riflettiamoci... {20-01-2013}
7. {Adolfo Monnanni}
▲
1.
Sicuramente vi è anche un mancato autocontrollo, si lascia che un poco
del mondo faccia presa nel nostro essere. Un tempo avremmo detto: «Lavati la
bocca con il sapone», ma oggi molti si adirerebbero, prendendolo come un
esagerato giudizio (non giudicarmi, ecc.). Sarà forse che il decadimento
inizia nelle «piccole cose»? Riflettiamoci sopra, dato che poi non è roba di
poco conto. {21-01-2013}
2.
Sicuramente un parlare sconveniente non si addice ai figli di Dio. Ciò è
frutto di superficialità e scarsa considerazione dell’importanza di
trasmettere quello, che si riceve. Considerando sempre che padri deboli
formano figli deboli, vegliare su tutta la realtà della vita dei membri
della chiesa, non è facile, ma doveroso farlo, anche a rischio di essere in
contrasto con alcuni. Andiamo avanti con il giusto atteggiamento, ricordando che
in quanto «figli» di Dio, dobbiamo rappresentarlo per come è: «Santo, Santo,
Santo». {21-01-2013}
8. {}
▲
9. {}
▲
10. {}
▲
11. {Vari
e medi}
▲
■
Omar Stroppiana:
Proprio pochi giorni fa, riflettevo e scrivevo un piccolo pensiero su un tema affine a questo; mi
permetto di lasciare il
link
al breve pensiero. Credo che l’uso improprio della
nostra lingua faccia più danni di quanto si creda e a volte vanifichi le
cose buone, che abbiamo fatto. Credo che dobbiamo prestare molta attenzione a
questo aspetto della nostra vita. {20-01-2013}
■
Matteo Cavallaro: Dalle
risposte, che dà una persona, conosci il suo pensiero; dal suo agire, conosci il suo credo. Chi sta all’ombra di Dio Padre, ha Cristo come Pastore e lo Spirito Santo come maestro e consolatore. Naturalmente, dove abita lo Spirito Santo, regna la gioia e la pace; e l’umiltà e la misericordia sono il profumo della casa. {20-01-2013}
Mi sembra di averlo già letto.
■
Liliane Vitanza Hoffer: Grazie, Nicola, per aver
pubblicato questo argomento. Mio marito e io combattiamo già da anni con i
nostri fratelli e sorelle in Cristo, appena pronunciano certe parole. E allora,
all’improvviso, si rendono conto di certe abitudini da modificare. Noi
siamo malvisti dagli altri, perché interveniamo; ma credo che Dio ci ha
posti come sentinelle per il bene della Chiesa di Cristo. {20-01-2013}
12. {Vari
e brevi}
▲
■
Antonio Strigari: Infatti! «Può, fratelli
miei, un fico fare ulive, o una vite fichi? Neppure può una fonte salata dare
acqua dolce» (Giacomo 3,12). {20-01-2013}
■
Marinella de Cristofaro: «Non è ciò che entra
nella bocca, che contamina l’uomo, ma è quel che esce dalla bocca, che contamina
l’uomo» (Matteo 15,11). {20-01-2013}
■
Patrizio Brandi:
È molto bello questo articolo, lo condivido appieno. {20-01-2013}
■
Matteo Armillotta: Hai tutta la mia solidarietà per l’articolo ben fatto. {20-01-2013}
■
Gianni Di Marco: Condivido pienamente! {20-01-2013}
►
URL: http://diakrisis.altervista.org/_Cres/T1-Linguaggio_vecchio_Mt.htm
20-01-2013; Aggiornamento:
22-01-2013 |